Mi piaceva da ragazzo sfogliare gli albi d’oro degli eventi sportivi provando a memorizzare i nomi degli atleti che vincevano le gare. Al nome associavo l’anno e il gioco era fatto.
Con un mio amico la sfida riguardava i vincitori dei tornei dello Slam, in particolare quelli di Wimbledon, la gara che più di tutte, da oltre un secolo, dà lustro e notorietà indelebile al vincitore.
Anche se il torneo londinese aveva ai miei occhi un fascino particolare nelle immagini sfocate dei primi televisori a colori in un tempo pomeridiano spesso rubato a quello dello studio e dei giochi, erano le telecronache degli Internazionali d’Italia di Oddo e Galeazzi, insieme alla Coppa Davis che spesso mi costringeva a levatacce nel silenzio della notte, l’appuntamento sportivo dell’anno, quello che aspettavo con maggiore trepidazione.
Ho ancora riposto in un cassetto gli albi che leggevo da ragazzo ma un mese fa da Internet ne ho stampato uno aggiornato. Mi sono seduto, l’ho messo sul tavolo e son tornato bambino.
Il mio sguardo non ha potuto che incrociare il nome di Adriano Panatta che ha vinto al Foro nel 1976.
Di quell’anno più ancora della partita contro Vilas dove, dopo aver rotto l’emozione con un primo set da dimenticare, Adriano esibì il suo miglior repertorio di colpi vincenti, ricordo le incursioni sul campo tra un set e l’altro di Gianni Minà, intento a raccogliere qualche parola del nostro, la gioia di Giampiero Galeazzi che rincorreva per il campo il figlio di Ascenzio, felice dopo il successo, e la voce quasi rotta dall’emozione di Guido Oddo.
Nel 1978 in finale c’era ancora Adriano. Contro di lui non più il “tennista poeta”, ma Borg. Fu una partita che rischiò di finire prima del tempo visto che lo svedese, infastidito dalle monetine che alcuni tifosi maleducati fecero cadere dagli spalti, minacciò di abbandonare il centrale. Fece la promessa, dopo quell’incontro, che non si sarebbe fatto più vedere da quelle parti e mantenne la parola.
Tra le due finali di Adriano ci fu quella inaspettata di Tonino Zugarelli contro Gerulaitis.
Tonino, splendido atleta, rapido e coordinato, si muoveva sul campo con agilità e giocava tutti i colpi, anche i più difficili, con naturalezza estrema come se nella vita non avesse mai fatto altro. L’inizio fu da incubo ma ebbe la palla per arrivare al quinto. La volée morì sul nastro, altrimenti, con Vitas ormai stremato, staremmo raccontando un’altra storia.
Nessun italiano, dopo Adriano, ha vinto gli Internazionali d’Italia, qualcuno prima di lui sì.
Nicola Pietrangeli ci riuscì due volte. Nel 1957 sconfisse Beppe Merlo che aveva perso, quasi trentenne, il grande anticipo che nei suoi giorni migliori gli riusciva a meraviglia con la sua, a quei tempi inusuale per non dire bizzarra, impugnatura bimane.
Nel 1961, anno nel quale il torneo traslocò a Torino per celebrare la prima capitale dell’Italia Unita, Nicola compì il suo capolavoro annichilendo in un insolito lunedì di finale un giovane Laver, ancora poco esperto per la terra rossa. Il nostro, al contrario, la conosceva benissimo come dimostravano le vittorie, nel 1959 e ’60, anche al Roland Garros.
Un’altra finale tutta italiana fu quella del 1955 in cui Gardini ormai ad un passo dal baratro – due match-point a favore di Merlo – prese di fretta la strada degli spogliatoi dopo che l’altoatesino di nascita e bolognese d’adozione cadde a terra in preda ai crampi al tie-break del quarto set, non più in grado di reggersi in piedi.
Ancora una finale tra player italiani fu quella giocata nel 1934, nell’ultima edizione che si disputò al tennis Club Bonacossa di Milano in via Arimondi.
Giovannino Palmieri, il primo campione del popolo tacciato spesso di professionismo perché si permetteva, per mantenere la famiglia, di prendere ricompense quando dava lezione, batté Giorgio De Stefani per 6-3 6-0 8-6 in una partita che le cronache di Umberto Mezzanotte, direttore dell’unica rivista specializzata del tempo, considerò non appassionante.
Il primo italiano capace di iscrivere il suo nome nell’albo d’oro fu Emanuele Sertorio nel 1933 che sconfisse in tre facili set il francese Martin-Legeay con un gioco d’attacco e un ottimo servizio.
Quando tornerà il nostro momento?